Violenze in carcere, i detenuti al processo: “Olio bollente e punteruoli contro i poliziotti”
Durante la protesta dei detenuti avvenuta il 5 aprile 2020, episodio che aveva portato ai pestaggi avvenuti il giorno successivo, contro gli agenti della Polizia Penitenziaria erano stati usati punteruoli e olio bollente. Lo hanno dichiarato, durante il processo, due testimoni che all'epoca erano detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta). Si tratta della prima ammissione in questo senso: gli altri detenuti, nelle precedenti udienze, avevano sempre affermato che l'olio bollente era servito per cucinare. A parlare, i testimoni Maurizio D'Orsi, che ora si trova in carcere a Frosinone, e l'ex militare Raffaele Picone.
I fatti riferiti riguardano il 5 aprile, quando un gruppo di reclusi aveva protestato barricandosi nelle sezioni dopo la scoperta della positività al Covid di uno di loro. "Il 5 aprile – ha detto D'Orsi – c'era il gruppetto di napoletani che aveva organizzato la protesta, i casertani non misero le brande fuori, in sostanza la protesta fu imposta dai napoletani, che stavano anche riscaldando l'olio per buttarlo addosso alle guardie e avevano anche dei punteruoli". Sulla stessa linea Picone: "c'erano detenuti che avevano preparato dell'olio bollente per gettarlo sulle guardie".
L'ex militare, rispondendo alle domande del difensore di un imputato in sede di controesame, ha poi spiegato che "al carcere di Santa Maria Capua Vetere c'era un commercio enorme di Subutex", e che la protesta era legata proprio a questo smercio, con "il gruppo di napoletani che si erano presi la piazza di spaccio e organizzarono la protesta". Il Subutex, un oppiaceo sintetico, è stato trovato anche nel corpo di Hakimi Lamine, il detenuto algerino pestato il 6 aprile 2020 e poi morto mentre era nella cella di isolamento in cui era stato rinchiuso dopo le violenze subite; per la sua morte sono indagati 12 dei 105 imputati nel maxiprocesso (quasi tutti agenti della Polizia Penitenziaria, ma anche funzionari del Dap e medici dell'Asl di Caserta).
Durante l'udienza è stato infine smentito quanto dichiarato da Vincenzo Matrone, anche lui all'epoca detenuto a Santa Maria Capua Vetere, che lunedì scorso aveva detto che il 6 aprile gli avevano rotto il braccio sinistro e che il 7 aprile, il giorno dopo le violenze, un agente gli aveva bruciato la barba e altri poliziotti gliel'avevano fatta rasare con un rasoio senza schiuma. Matrone ha dichiarato agli avvocati Edoardo Razzino e Roberto Barbato, difensori di alcuni degli imputati, che la barba gli era stata bruciata la mattina del 7 aprile, prima che scendesse in infermiera per prendere l'insulina, ma i legali hanno mostrato in aula un video in cui si vede l'uomo che va in infermeria ancora con la barba e saluta usando il braccio che, secondo il suo racconto, gli sarebbe stato rotto il giorno prima.